Archivio Magnini

Dibattiti e interventi - Cultura

1977 - Ricordo di Arturo Checchi


La Nazione - 17 gennaio 1977

Perugia ha ricordato Arturo Checchi figlio adottivo che restò come artista

Una nota dell'avv. Dante Magnini, presidente della «Famiglia Perugina», scritta in occasione delle cerimonie di ieri per il grande maestro toscano

Una numerosa folla ha partecipato, ieri mattina, alla cerimonia dello scoprimento della stele commemorativa del grande artista toscano, ma perugino di adozione, Arturo Checchi.
Ha proceduto allo scoprimento Ottorino Gurrieri, presidente della brigata perugina amici dell'arte.
Il sindaco Perari, nel suo intervento, ha ricordato come i «giardini» dove la stele è stata scoperta, fossero la tappa preferita, il luogo prediletto del maestro, dove Checchi ha trovato ispirazione per i suoi suggestivi paesaggi umbri.
Anche il presidente della azienda di turismo, Saverio Ripa di Meana, ha ricordato la figura di Arturo Checchi, artista e uomo; ha detto che la pietra nella quale il bronzo autoritratto dell'artista è stato inglobata sia stata «cavata» dai vicini colli; ed ha ancora sottolineato come opere del maestro si trovino, donate dalla fedele compagna di Arturo Checchi, in piazza d'Italia, e «il violinista» al teatro Morlacchi.
Brevi parole sono state pronunciate da Ottorino Gurrieri.
Le autorità si sono poi recate nella zona del piazzale della Cupa dove è stata inaugurata la targa stradale che intitola la strada di collegamento fra viale Pellini alla Pioggia Colombata al grande artista.
Nell'occasione di questa commemorazione che il comune e l'azienda di turismo hanno voluto organizzare per ricordare Arturo Checchi, l'avvocato Dante Magnini, presidente della «Famiglia Perugina» ha scritto questa interessante nota.

Perugia in questi giorni ricorda Arturo Checchi, un suo figlio adottivo che restò come artista.
Noi qui vorremmo piuttosto ricordare l'uomo, sperando non ci faccia velo esserne stati amici ed averne comunque condiviso le scelte.
E' anche questione di competenza: c'è chi sa misurare le pennellate, i grumi di colore, le provenienze e gli «ismi». E chi può soltanto, se può, cercare di valutare un uomo per quello che è. Ed anzitutto se è.
Che poi anche «vivere vero» è un'arte: intendiamo dire che è già un privilegio.
Vivere vero: vivere cioè il suo tempo al di sopra del tempo, parteciparvi senza esserne sommerso. Che non è semplice, perché il tempo t'impone una presenza cosciente ed insieme però ti propone mode, patti, lusinghe. Anche la minestra a mezzogiorno. Tanti compromessi, insomma.
Per riuscirvi occorre avere, come Arturo ebbe, consapevolezza di sé: della propria dignità d'uomo. E la sua prima scelta fu appunto di non scendere a compromessi, d'anteporre sé alle cose.
Sembrò così un uomo complesso: ed invece era semplice. E' la società piuttosto ad essere spesso confusa.
Mirabilmente libero, non accettò dittature e rifiutò il fascismo, incurante di persecuzioni, di veti, d'ostracismi e tuttavia seppe essere liberamente amico di fascisti, d'alcuni almeno, perché sapeva che più del colore della camicia conta chi c'è sotto.
Non gli fece mai velo nulla: scettico nei riti, rispettò più d'una tonaca, ogni qualvolta lo meritava. E della religione percepì sempre il messaggio.
Democratico autentico; amò il popolo avvertendone l'autenticità e l'ansia di giustizia; ma non fu un populista, perché non ammetteva confusioni, lassismi, il facile. Lui che al contrario amava anzi il difficile o, più che amarlo, lo riteneva indispensabile per non appassire.
D'idee sociali avanzate e però aristocratico. Se è possibile, un socialista aristocratico. Così come un laico religioso. Del resto, l'etichetta in un uomo come lui contava poco. E poi per principio diffidava di tutti gli «ismi»: vi fiutava il dogma, e la rinuncia, due cose da rigettare.
Subito conscio del suo valore, tanto che sin da giovane ed anche se ne aveva bisogno preferiva non vendere piuttosto che svendere, si valutò sempre per quello che era, senza ipocrisia e tuttavia, od anzi proprio per questo, non corse mai dietro alla fama. Credo che nessun critico ebbe in omaggio un suo quadro, nessun gallerista un ossequio, ignorò quanto usava ed usa per farsi comprare. Appunto perché, prima che pittore, era uomo. E le sue opere così le regalò non a chi gli serviva; ma, se mai, a chi servivano.
Estremamente onesto con sé, lo era anche con gli altri: credo che, neppure per cortesia, non elargì mai un elogio se non meritato: al più, per educazione, restava zitto.
Amò visceralmente l'arte in tutte le sue forme; ma appunto perché l'amava tanto non ammetteva che fosse inquinata. Amò poco i dilettanti, occorre riconoscerlo: i venditori di fumo per nulla. Ed ignorò sempre il superfluo. E vide però ciò che c'era di valido in tutti, anche nei più modesti.
Sembrava difficile catalogarlo, tanto più che quando lo conoscemmo era già l'epoca degli uomini riciclati. E lui invece era unico ed intero. Forse perché veniva di lontano; non per l'età, che in chi come lui l'età non conta; ma perché portava, com'è dono d'alcuni, quanto l'uomo nei secoli ha dovuto imparare e quanto ha saputo conservare: diffidenza e speranza. Diffidenza nell'apparenza delle cose e speranza però nel destino dell'uomo.
Una scorza dura che difendeva un'intatta dolcezza. Una dolcezza da tenere nascosta, perché non si sciupi. E neppure i sentimenti voleva sciuparli: prima d'aprirti il suo animo sincero, ti scrutava profondo. E, se non meritava, non l'apriva. Come per le sue opere, si vendeva caro. In compenso poi t'offriva tanto. Avveniva così che sulle prime, ad accostarlo, incutesse addirittura soggezione, quasi t'imponesse esami di coscienza; ma, poi lasciandolo ne uscivi pulito.
Forse s'innamorò di Perugia proprio per questo: perché s'identifica in quella sua struttura rude ed in quella disponibilità d'insieme a visioni serene. In quella sua vita tormentata dal vento, faticata dalla necessità di salire, aliena com'allora era dalle mode, capace di conservare il suo impegno civile e di conservarsi fedele, d'essere antica e nuova, semplice e altera. Proprio per questo pensiamo seppe esserne così mirabile interprete.
Fu un uomo difficile, dicevano. E' che appunto non credeva nel facile: tutto costa fatica o forse deve addirittura costarlo. Anzitutto vedere l'essenziale. E qui riuscirebbe comodo dire che lui d'ogni cosa seppe cogliere le linee che contano, perché artista vero.
Diremo invece che fu tale, perché anzitutto vero come uomo.
Dante Magnini

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