Archivio Magnini

Dibattiti e interventi - Cultura

1977 - Ricordo di Gerardo Dottori


La Nazione - 17 giugno 1977

L'incomparabile serenità dell'uomo (ricordo perugino di Gerardo Dottori)

Un'appassionata nota dell'avvocato Dante Magnini - «C'erano i papaveri» - Il dono d'un quadro venduto per molti zeri - Il timore di avere peccato d'immodestia

A nome della Famiglia Perugina, l'avvocato Dante Magnini, ha scritto un appassionato ricordo di Gerardo Dottori.
Ora che il lungo sodalizio si è infranto e m'è d'obbligo ricordarlo, non trovo che una frase consunta: «perdendolo, Perugia si sente più piccola e spenta».
Però è vero: Gerardo Dottori le aveva trovato orizzonti nuovi e prospettive diverse.
«Ma non l'ho inventati io - diceva, quasi a scusarsi - l'ho soltanto visti».
Il fatto è che era lui a vederli ed a farceli vedere.
Nei suoi ultimi tempi, pur se lucido ancora, trovava difficoltà a finire un discorso che fosse lungo: d'improvviso si bloccava, sfuggendogli la parola adatta. Non perdeva tuttavia l'arguzia.
«Occorrerebbe - mi disse, sorridendo - che dicessi sempre prima la parola che viene dopo». Ma in fondo era proprio quanto nella sua lunghissima vita aveva sempre fatto, dicendo per primo ciò che gli altri poi avrebbero ripetuto.
Sin da quando, agli albori del secolo, frequentava l'accademia - e la frequentò con quella diligenza che lui metteva in tutto quanto faceva - ove l'imburravano di copie e di stucchi. Un giorno uscì da solo con tavolozza e colori per i prati vicini e dipinse quell'«Esplosione di rosso su verde» che ora è alla «Tate Gallery» e precorre e intuisce la pittura moderna.
«Ma c'erano i papaveri» ricordava, quasi a non assumersi meriti.
Ed era vero che ci fossero, perché dopotutto, anzi soprattutto, la sua fu sempre un'arte concreta, che non inventava, ma interpretava il mistero del mondo. Sia pur vedendo appunto ciò che gli altri non sapevano.
Forse fu proprio questo suo senso del concreto che gli fece tanto amare la sua terra. Vi si identificava in tutto: nella riservata mitezza, nella faticata tenacia, nella struttura insieme solida e ariosa. In quelle forze ascensionali, diremmo. Ed anche nella fedeltà.
Come artista scelse un suo ruolo e lo seguì, sviluppandolo. Senza curarsi di chi insegue la moda e senza mai temere le critiche. Temette soltanto di non essere sé stesso.
E fu Dottori.
Ma, poiché la sua arte rimane e l'uomo che sino a ieri ci illuminò s'è spento, è questo che vogliamo qui ricordare.
Quell'uomo incomparabile nella sua serenità. Quell'uomo cosi umano. Quell'uomo che capiva. E che - nella sua tollerante dolcezza - comprendeva tutto e tutti, anche le tante debolezze e le meschinità.
Una volta lo trovai con un artigiano al quale due giorni prima, richiesto, aveva regalato un quadro. Era venuto a ringraziarlo ancora, anche a nome della moglie, che quel dipinto aveva appeso nel tinello ed era tutto il giorno estasiata lì avanti. E non osava dirlo, ma intanto lo diceva, aveva il desiderio d'averne in regalo un altro per appenderlo nella camera da letto ed averlo così anche di notte vicino.
Gerardo ascoltava con quel suo sorriso timido e buono. Sennonché suonò il telefono: era un professionista che, per una cifra con molti zeri, aveva poco prima acquistato un quadro, quel quadro, dall'artigiano e gliene chiedeva l'autenticità, anche, perché gliene aveva promesso in vendita un altro.
Non si scompose, assicurò che era autentico, ringraziò, riattaccò e tornò sorridente e cortese - come se nulla fosse - dal postulante. Se mai confuso d'averlo involontariamente messo in imbarazzo. Tanto più che forse già immaginava tutto, lui che era un puro, ma non un ingenuo.
Non si scomponeva mai, come ogni saggio. E perché degli uomini non gli interessavano i lati peggiori. Lui cercava altro. E poi conosceva il bisogno, anche se lui era riuscito a mai degradarsi.
E, d'altro canto, ignorava invidia, presunzione, desiderio di feluche, sete di danaro. Non gli importò mai che i milioni tardassero a giungere e che, quando giunsero, gli ruotassero soltanto attorno. Non ebbe così mai né rimpianti, né delusioni. E restò appunto limpidamente sereno.
Si riteneva anzi fortunato perché - dipingendo, affrescando, scrivendo, insegnando, lavorando sodo, da operaio anche all'occorrenza - quantomeno la minestra l'aveva sempre assicurata a sé ed ai fratelli; perché era riuscito a dare corpo a quelle sue visioni; perché era riuscito a non tradirsi; perché la sua città l'aveva spontaneamente capito; perché i suoi concittadini gli volevano bene. Quasi che a un uomo così fosse possibile non volerne!
Perché senti quel suo amore per Perugia ricambiato da tutti, soprattutto dagli umili, che s'identificavano nella sua umiltà. Quando dalla «Famiglia Perugina» gli fu offerto il «Grifone d'onore » si commosse. «L'onore non lo merito - disse - ma il grifone vorrei tenerlo». Ed arrossì, come spesso gli succedeva, sembrandogli d'aver peccato d'immodestia.
Perché incredibilmente riuscì a mantenere - nell'arco di un secolo o quasi - un intatto candore.
Forse è per questo che non invecchiava e, pur potendoci essere nonno, continuavamo a sentirlo tanto vicino.
O forse per la sua inesausta gioia, di vivere, per la sua costante curiosità, per la sua ininterrotta disponibilità.
Una delle ultime volte che lo vidi, quando le forze già lo lasciavano, d'un tratto si chinò dalla poltrona verso il pavimento e disse: «Vorrei prendere quel rosso». Il mondo, le cose, quanto aveva attorno, sin anche semplici mattonelle appunto gli offrivano ancora motivi di gioia.
Più tardi - lui che dalle cose passava alle idee, lui che era intelligente e buono - spontaneamente mi disse, quasi fosse tenuto a confortarmi, che non lo turbava il trapasso. «Ma - aggiunse, con la sua limpida onestà - non ho fretta di morire, tanto già so cosa vedrò di lassù».
Però non me lo spiegò, né io glielo chiesi per la consueta ipocrisia di circostanza.
S'era rinchiuso in quei suoi lunghi silenzi, forse inseguendo - lui che con quei suoi occhi singolarmente attoniti riusciva sempre a vedere in anticipo - orizzonti ancora più vasti, prospettive ancora diverse, un mondo forse ancora più luminoso. Ed una maggiore serenità.
Ma penso che sia impossibile trovarne più di quanta ne ebbe.
Dante Magnini

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