Con la scomparsa di Antonio Paccoia se n'è andata una parte della cultura di Perugia
Poiché il dire che con la morte di qualcuno se ,n'è andata una parte della città
è frase ormai abusata ed usurata, diremo, magari scandalizzando i soloni, che
con Antonio Paccoia se ne è andata una parte della cultura di Perugia.
Non di
quella cattedratica naturalmente; ma di quella atavica, istintiva, connaturata
nei suoi cittadini. Frutto non casuale d'un ambiente maturato in secoli di
dimestichezza con le lettere: quell'aspirazione al sapere, allo scrivere, al
capire. O, semplicemente, diciamo pure: quella spontanea vocazione culturale
della città.
E proprio lui ne era emblematico esempio: pur avendo frequentato
soltanto le elementari, non s'era fermato, né accontentato delle lezioni
impartitegli da quel lontano maestro: continuava per suo conto ad andare a
scuola nella vita, non si stancava mai d'imparare, di conoscere, di scoprire. E
lo faceva con l'animo candido ed entusiasta, beato lui, del fanciullo.
Era un
incanto andare in viaggio con lui: mentre gli altri, sia pure con tanto di
laurea o di diploma, s'interessavano al pranzo, al caffè od all'albergo, Tonino, appena uscito dalla
stazione, partiva subito in quarta all'entusiasta scoperta di quel mondo
inesplorato.
Ricorderò sempre quella sera a Parigi: giungemmo di notte e pioveva
e tuttavia non riuscii a convincerlo di restare in albergo: fremeva e dovetti
cosi accompagnarlo seduta stante a vedere i Campi Elisi. Per non bagnarmi,
rimasi ad attenderlo nella stazione del metrò; ma lui, senza ombrello, vi si
immerse felice. Vi si perse anche.
E, faceva d'ogni suo viaggio il puntuale
diario per ricordarselo e prima diligentemente s'era informato sui libri.
S'informava sempre e soprattutto scopriva sempre.
Certo, per uno vivo e curioso
come lui, era stata una fortuna I'essere cresciuto in un'edicola di giornalaio,
da qui anche quel suo inesausto amore per la penna: le sue poesie, a volte non
erano, forse, letterariamente ortodosse; ma che importa? Erano sempre
espressione schietta d'un animo sensibilissimo e come tali andavano intese. E
apprezzate.
Era davvero tutto d'apprezzare e direi imitare Tonino: per quel tanto
d'inespresso, d'ingenuo e di buono. Per quell'eterna sua fanciullezza.
Per quel suo potenziale culturale che la sorte aveva frustrato e che lui
ostinatamente coltivava.
Ed, infatti, gli volevamo tutti bene.
Avv. Dante Magnini
Presidente della «Famiglia Perugina»
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